
Se c’è una cosa che ho imparato nelle lunghe ore trascorse nella biblioteca della mia città è che considerare noiosi i classici della letteratura è un pregiudizio pericoloso, di quelli che possono farvi perdere l’opportunità di conoscere storie bellissime.
Non sono uno di quei lettori che disdegnano in assoluto la narrativa contemporanea. Del resto il valore di un libro non va misurato con la data di pubblicazione e spesso nemmeno in funzione del suo autore. Eppure è innegabile che i classici, quelli che in modo assai brutale tendiamo a definire come “libri vecchi”, sono spesso ammantati di un’aura negativa indotta dall’età e dalla percezione che il linguaggio desueto e i temi ormai superati possano rendere la lettura pesante, complicata, addirittura noiosa, comunque incapace di attrarre il lettore contemporaneo, quello abituato alla frenesia dei post usa e getta prodotti dalla rete.
Tuttavia, se i cosiddetti classici si sono conquistati questo appellativo è in virtù dell’enorme valore senza tempo di cui sono portatori, compresa la capacità di intrattenere, sorprendere e divertire.
Potrei fare molti esempi e con questo tediarvi oltre misura snocciolando l’elenco di tutte le mie preferenze. Ma non temete, oggi non sarò io a dimostrarvi quanto i classici possano essere affascinanti. Cedo infatti la parola a Herman Melville, di professione scrittore, nato e vissuto nella New York dell’800 e autore di Moby Dick.
Ma l’argomento di questo articolo non è il famigerato romanzo ma un piccolo racconto, Bartleby Lo Scrivano, riportato di recente in libreria dalla Flower-Ed. Un classico ancora oggi, di quelli che dovrebbero essere puntualmente riscoperti, rivalutati, riletti.
La storia, nella sua apparente semplicità potrebbe ricordare certi episodi della serie “Ai Confini della Realtà” in cui un misterioso scribacchino di nome Bartleby, assunto presso un Ufficio Legale, dopo l’iniziale timidezza inizia a manifestare un comportamento strano, ai limiti del surreale: ad ogni richiesta del proprio datore di lavoro, lui risponde con un serafico “Preferirei di no”. Poco importa che si tratti della consegna di una lettera o della ricopiatura di un importante documento legale. La risposta sarà sempre quella, un garbato rifiuto privo di ulteriori spiegazioni.
L’aspetto realmente sorprendente di questo gioco letterario non sta tanto nel comportamento di Bartleby, quanto nella crescente incapacità del suo datore di lavoro di sbarazzarsi repentinamente di quello che potrebbe essere definito come un fannullone, se non addirittura un pazzo da allontanare al più presto.
Si sviluppa così un meccanismo perverso, nel quale il datore di lavoro (che resterà anonimo per tutta la vicenda) sembra perdere progressivamente la posizione di vantaggio che pure potrebbe vantare, mentre nel lettore la curiosità cresce di pari passo con un senso di disagio per il comportamento assunto da Bartleby, quasi fosse una sorta di automa messo lì per far inceppare gli ingranaggi di un meccanismo, quello della sudditanza nei rapporti di lavoro, nel quale tutti in un modo o nell’altro possiamo riconoscerci.
La conclusione, per quanto limitata nel suo svelare il perché di quel costante rifiuto, apre un sorprendente squarcio esistenzialista che spinge il lettore a sorridere con amarezza e a riflettere sul legame, talvolta perverso, che può esservi tra il lavoro e lo sviluppo della propria personalità.
Tuttavia questa è solo una delle possibili chiavi di lettura e il senso del racconto potrebbe risiedere altrove. Melville ha costruito una trama la cui interpretazione è demandata al lettore e alla sua specifica sensibilità. La potenza della narrativa “d’altri tempi” sta anche in questo, nella capacità di spingere al ragionamento, alla riflessione interiore, quasi che ogni parola abbia il potere di sfiorare la mente stessa di chi legge attivandone processi fino a quel momento sopiti.
Presentato con la dotta prefazione di Sara Staffolani e la traduzione di assoluto valore a cura di Riccardo Mainetti, Bartleby Lo Scrivano fa parte della collana Five Yards con cui la Flower-Ed sta riportando alla luce testi capaci, oggi come oltre un secolo fa, di raccontare attraverso storie originali e suggestive gli aspetti più profondi e sorprendenti della società ma anche dell’essere umano.
Bartleby Lo Scrivano, pur essendo un racconto breve, conferma l’enorme valore di Melville anche in un contesto ben più ristretto del romanzo fiume che lo ha reso celebre. Un narratore capace di disseminare le proprie pagine di quei piccoli elementi di sorprendente umanità che fanno riflettere sul senso stesso della vita e sul contesto sociale e culturale nel quale siamo immersi da oltre due secoli e che cambia solo per restare uguale a se stesso. Un campo vastissimo che anche un testo risalente al 1853 può ancora indagare con estrema efficacia, generando curiosità e discussioni tra i lettori di oggi.
ANDREA
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