
Le commedie, quelle piccole storie che sembrano attraversare lo schermo dell’esistenza come stelle cadenti poco attraenti, sono forse quelle che più di tutte riescono a raccontare gli esseri umani e le loro esistenze. E lo fanno con passo leggero, volteggiando tra ironia e disincanto, quasi provassero una sorta di timidezza nell’essere ciò che sono: frammenti di vita nei quali tutti sono in grado di riconoscersi.
Orazio ha quarant’anni, è un padre single (non per scelta) di un figlio ribelle che annega il proprio malcontento nella musica sparata a tutto volume e in un look improbabile che lo rende alieno agli occhi del genitore. Di mestiere fa il cacciatore di bug informatici, quelle piccole minuzie digitali capaci di rendere inservibili anche i programmi più sofisticati. Orazio ha talento nello scovarli, almeno finché si tratta di stare davanti a una tastiera. Ma i bug più importanti, quelli che sembrano aver inceppato definitivamente la sua esistenza non riesce né a individuarli né a cancellarli definitivamente. A ben guardarlo Orazio sembra il prototipo perfetto dell’uomo mediocre, intrappolato in un’esistenza definitiva da una scala infinita di grigi, senza alcun guizzo che gli consenta se non di lasciare il segno, almeno di potersi dire felice. Ma Orazio ha anche un pregio, forse il più importante: non è uno che si arrende, nonostante i tentativi di comprendere il figlio e di migliorare la propria condizione sembrino destinati a fallire, sempre, ogni giorno, con una costanza che abbatterebbe anche il più forte dei pugili.
Orazio è il protagonista di “Rosso di Fiamma Danzante”, il romanzo pubblicato da Linea Edizioni che segna l’esordio di Fabrizia Scorzoni nel mondo della narrativa. Una piccola ed elegante commedia che racchiude in sé alcuni dei temi con i quali in tanti prima o poi sono destinati a confrontarsi: l’incapacità di comprendere i propri figli adolescenti, il bisogno di fare i conti con le storie d’amore fallite e con quelle mai nate, il desiderio di trasformare il proprio lavoro in qualcosa di più significativo delle otto ore quotidiane passate davanti ad uno schermo, mentre i colleghi ti passano accanto nell’indifferenza o covando cattiverie, perché là fuori è una giungla e a vincere deve essere sempre il più forte.
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Orazio è molte cose, ma è soprattutto lo specchio attraverso il quale il lettore può osservare da un punto di vista differente la propria condizione di genitore spaventato e di uomo insoddisfatto. Ed è anche un protagonista per il quale si finisce per parteggiare, nella speranza che a un certo punto accada qualcosa, la classica svolta che ci faccia dire “Finalmente!”, mentre per noi stessi confidiamo nello stesso benevolo destino.
Nel frattempo Orazio lotta contro se stesso e va in cerca di una nuova dimensione. Si fa irretire da uno dei tanti corsi di auto-consapevolezza che promettono cambiamenti radicali, nel suo caso l’apprendimento della nobile arte (lo è davvero poi?) della seduzione. Perché in fondo al maschio interessa soprattutto una cosa, vestire con successo i panni del cacciatore. Del resto Orazio ha tutto il diretto di rifarsela una nuova vita: è stato lasciato dalla moglie, ha un figlio talmente racchiuso in sé stesso da apparire più coriaceo del più invalicabile dei firewall e non c’è nulla nella propria vita che gli dia autentica gioia. Tranne lei, Flora, la proprietaria di un negozio di fiori di cui Orazio conosce ben poco ma per la quale prova qualcosa che gli ricorda pericolosamente l’amore. A mancargli è il coraggio di parlarci, mentre la paura di fare una brutta figura è sempre in agguato. È lei la fiamma danzante del titolo, mentre rossi sono i suoi capelli, una chioma fluente nella quale Orazio vorrebbe perdersi per ritrovare se stesso e la felicità perduta.
Così Orazio ci prova, fa quel fatidico passo per rimettersi in gioco, per cambiare prospettiva e soprattutto le cose di sé che non gli vanno più bene. Ma siamo in una commedia e, proprio quando per Orazio sembra che gli ingranaggi che regolano la sua vita abbiano preso a muoversi nella giusta direzione, ecco tutto cambia, anzi precipita verso nuovi problemi, drammi esistenziali, raggiri e imminenti sconfitte.
Orazio si ritrova progressivamente coinvolto in una serie di imprevisti, equivoci, tentativi di conquista riusciti e altri miseramente falliti. La sua esistenza sembra trasformarsi in una giostra il cui manovratore ha perso il controllo, ma Orazio non è uno di quei personaggi arresi per davvero all’ineluttabilità. Combatte e lo fa a modo suo, esattamente come farebbe ciascuno di noi, perché non esistono formule magiche né guru post-moderni in grado di insegnarci a vivere. La corrente del fiume talvolta va semplicemente assecondata, altre volte combattuta. Il segreto sta nel capire quando fare l’una o l’altra cosa e Orazio imparerà come barcamenarsi tra i flutti finché un porto sicuro non si paleserà al suo orizzonte.
Fabrizia Scorzoni ha scritto un romanzo “leggero”, narrato in prima persona dal suo protagonista con il quale l’empatia scatta fin dalle prime pagine. Il lettore fa il tifo per Orazio e, allo stesso tempo, si diverte con le sue disavventure, anche quando vengono trattati temi più delicati, come il rapporto angoscioso tra genitori e figli. Il merito è tutto dell’autrice che per il suo libro ha scelto una penna dalla punta fine con cui ha tratteggiato una storia capace di essere essenziale ma anche profonda, che spinge il lettore a riflettere sulle proprie esperienze, specie quelle emotive, paragonandole con quanto Orazio vive e racconta.
La Scorzoni è riuscita anche nell’impresa mai facile per una donna (e lo stesso vale, ovviamente, a ruoli invertiti) di dare voce ad una figura maschile credibile, completamente spogliata di ogni accezione femminile, dimostrando così di possedere una scrittura solida e matura, che le ha permesso di tratteggiare un personaggio tridimensionale, vero e sincero nel quale tutti possono ritrovare una parte di sé, per sorridere dei propri guai e per nutrire la speranza che, dopotutto, aggiustare i guasti dell’esistenza sia sempre possibile.
ANDREA
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